venerdì 18 gennaio 2008

ROB ZOMBIE'S HALLOWEEN SPECIAL



I, Zombie - Duplicating

Nella miseria abbandonata tra le macerie dell'horror americano, l'opera cinematografica di Rob Zombie è arrivata come la stella oltre le stelle, come aspettativo di ciò che, secondo le ragioni del tempo, diventa culto. Pochi hanno fatto in vita quello che ha realizzato Rob. Una carriera musicale che sovverte completamente le regole con una proposta inedita che farà scuola, i White Zombie, e che palesa molta della passione cinematografica del bizzarro cantante, collaborando spalla a spalla con leggende come Alice Cooper, i Kiss e Ozzy Osbourne. Una carriera di fumettista insieme a Steve Niles che fa parlare di sé grazie a proposte interessanti come The Nail e Spookshow. Un flirt con il cinema grazie a numerose apparizioni su colonne sonore di successo e la regia di tutti i video musicali della sua carriera con la vittoria di un MTV Awards. Le mire erano chiare e facendosi strada a graffi e a morsi Rob riesce a rendere corporei i suoi “incubi di stricnina”. House of the 1000 Corpses rappresentava una continuity sul fil rouge di quel delirio fumettistico-weirdo-citazionista che era la musica dei White Zombie e consequenzialmente della carriera musicale solista di Rob, in un fulgore di colori polposi che si riflettevano sulle deformità bizzarre delle creature che popolano il suo mondo. Una proposta interessante e apprezzata dai più che però viene spazzata via dall'opera seconda, quel The Devil's Rejects che rivelò qualcosa di più di un mestierante attento e visionario. Un lavoro maturo e scevro da tutti quei divertissement infantili che rivelavano un lato molto più furioso e ribelle del rocker newyorkese, avvolgendo nel mito le vite delle tre implacabili figure principali, costringendo lo spettatore ad un pesante compromesso morale. The Devil's Rejects arriva in maniera shockante nella percezione degli appassionati del genere che avvertono nell'autore una maturità ed un potenziale tale da poter regalare opere di spessore sempre maggiore. L'attesa per il nuovo progetto di Rob Zombie diventa febbrile subito dopo aver assimilato il colpo di The Devil's Rejects e arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che, invece di una sceneggiatura originale e più autoriale, il regista decide di rifare la storia di Halloween di John Carpenter. Vediamo perchè.

Devilman – running in my Head

L'impossibile massa di rifacimenti che ha affollato le sale a causa di una grave penuria di idee(o di voglia di osare,piuttosto) da parte di Hollywood ha falsato, negli ultimi lustri, l'idea originale nel termine remake. Che siano vacue rivisitazioni di miti del passato come Texas Chainsaw Massacre di Nispel o Dawn of the Dead di Snyder, riappropriazioni illecite di culture asiatiche come tutto il filone dei remake del J-horror, oppure veri e propri suicidi commerciali come The Wicker Man, la sensazione di accumulo immotivato è talmente palese da creare immediatamente diffidenza nei confronti di operazioni del genere. In realtà dimentichiamo la vera natura del remake come omaggio e rielaborazione autoriale di un mito del passato. Riusciamo ad immaginare il sollevarsi di polemiche riguardanti alla produzione del Nosferatu di Herzog, o de La Mosca di Cronenberg o ancora, rimanendo in zona Carpenter, la sua personale visione de La Cosa? Nel discorso Halloween,il background musicale di Rob Zombie viene in aiuto per spiegare il suo approccio all’opera. Il regista/rocker fa una “cover” personale del cult di Carpenter, mantenendo gli stessi accordi ma accordando gli strumenti secondo i suoi tempi, adattand il pezzo al suo stile e rendendolo personale, come fece per I’m Your Boogey man, rifacimento assurdo di una canzone dei KC & The Sunshine Band. Rob Zombie è intenzionato ad accostarsi a questo tipo di progetti, sicuramente con coraggio, forse anche presunzione ed incoscienza, convinto di poter rielaborare in maniera totalmente diversa le vicende di un personaggio protagonista di una saga infinita ma soprattutto di un capolavoro intoccabile nell'immaginario collettivo. Dal canto suo, John Carpenter, afferma fieramente che tutti i suoi film sono passibili di rifacimento e diventeranno tali, quindi royalties a profusione e a buon rendere. L'Halloween di Rob Zombie nasce subito all'insegna delle polemiche, i fan stentano a crederci e il regista viene immediatamente attaccato, tanto che la sua inossidabile sicurezza, durante i mesi di lavorazione, comincia a vacillare. Il Myspace dell’artista diventa una specie di forum dove partecipa egli stesso, spesso nervosamente, e chiunque dice la sua. E’ interessante come il regista racconti di aver immediatamente rifiutato la proposta dei Weinstein Bros di fare un remake di Halloween, rinfacciandogli le stesse diffidenze che i suoi fan hanno poi lamentato a lui. Solo dopo diverso tempo e diverse proposte ha deciso di prendere il toro per un altro paio di corna. Non si spiega però il suo disappunto per il pubblico che ha inizialmente avuto le sue stesse reazioni. Rob spiega che farà un film diverso dove Michael Myers non è la macchina di distruzione che conosciamo ma ha uno spessore umano. Ed è solo vedendo il film che queste parole possono planare su un significato concreto. Per Rob Zombie il mito di Michael Myers assurge ad avere un significato talmente reale nella cultura popolare da poter essere considerato un personaggio realmente esistente, un icona oscura accostabile al concetto di morte violenta al pari di tanti serial killer realmente esistiti. Per quanto anche questi ultimi vengano idealizzati dalle masse come creature senza scrupoli né morale,dediti esclusivamente al concetto di omicidio, anche essi hanno percorso un doloroso cammino che ha portato all'abiezione nei confronti di amore ed empatia umana. Ecco come si arriva al punto di immaginare una infanzia per l'icona Michael Myers, "il male puro" incarnato nella carne, attraverso la celluloide.

More Human Than Human

Rob Zombie, per raccontare la triste esistenza del giovanissimo Michael, uno stupefacente Daeg Faerch alla sua prima interpretazione, si ispira alla miseria umana di Henry Lee Lucas e Charles Manson, due figure che non a caso sono alla base del personaggio di Otis nei film precedenti e
che,idealmente, potrebbe essere Michael da grande, senza gli anni di manicomio. Daeg è posseduto dalla parte, probabilmente pressato fino al limite del crimine per esprimere un tale male di vivere, un feroce rancore dietro il volto ancora androgino di un ragazzino sgraziato. Se c’è un vincitore assoluto in Hallowen, è lui. Un personaggio a parte, che pretende esistenza su dimensioni che vanno al di là del mito cinematografico. La frustrazione della sua fuga nei corridoi della scuola sul titolo del film ed il leggendario motivetto carpenteriano spinge la bile attraverso i vasi e diviene effige dell’opera. Inspiegabilmente però, Rob non calca troppo la mano contro il bambino e la sua infanzia non è sufficientemente terrificante per giustificare la sua trasformazione in serial killer. Si ha l'impressione di trovarsi davanti ad una serie di stereotipi annacquati ma soprattutto la parte di Sheri Moon, qui ancora musa di Rob Zombie, come madre di Michael ha un valore eccessivamente positivo per soddisfare l'economia della storia. Di contro, la realtà che circonda i personaggi è ancora più oscura e aberrante che nei film precedenti, le pareti sono sudice e vuote, i corpi nudi e straziati, persino il sangue è scuro e raggrumato nei film di Rob Zombie, una muta disperazione sfogata in una violenza che sembra essere necessaria.

We All Go Down for the God of the Moment

Per una impresa così ambiziosa (e rischiosa al limite dello spericolato) Rob Zombie recluta una squadra attoriale dalle qualità eccellenti. Una muta di cani di razza, quella di Halloween, che soddisfa il desiderio di lavorare con icone dell’ horror e outsider del cinema mondiale. Un parco attori da fare invidia a molti blockbuster in giro, non tanto per la popolarità dei nomi coinvolti ma per la loro qualità. Ritornano gli abituè del cinema di Rob, soprattutto da The Devil’s Rejects: la tripletta Sheri Moon,Bill Moseley e Sid Haig (questi ultimi in trasparenti camei) ma anche Leslie Easterbrook, Ken Foree e Danny Trejo, per una volta in una veste rassicurante, e soprattutto Tyler Mane che nei suoi due metri e passa di altezza diventa la lungocrinita nuova identità di Michael Myers. Accanto a loro Rob si toglie la soddisfazione di poter dirigere alcuni nomi che hanno fatto la storia del cinema di genere. Principalmente Malcolm McDowell è una scelta sapiente visto che l’attore aveva un po’ gettato via la sua carriera e quindi ridimensionato il suo cachè, rimanendo comunque l’illustre Alex De Large di Arancia Meccanica nell’immaginario popolare. Per sua stessa dichiarazione non influenzato dall’interpretazione di Donald Pleasance (McDowell assicura di non aver mai visto né Halloween né i suoi sequel) , il suo dottor Loomis è sicuramente molto più manieristico, concettualmente distante dall’icona di Carpenter, il medico/scienziato/stregone che si illude di sfidare il male. Differente il rapporto con Michael perché in primis è il paziente che è evidentemente un altro. Il Loomis di Pleasance è determinato nell’auto-infliggersi il destino di essere custode del male, che ha il dovere di contenere o imprigionare l’iniquità che si scatena per le strade attraverso Michael, senza speranza né redenzione. Il Loomis di McDowell è un personaggio più classico, che ha in cura un caso umano con cui matura un legame per amor di ricerca che diventa poi affetto e conoscenza intima, ha una coscienza dell’umanità di Michael che lo atterrisce di fronte alla sua brutalità. Il Dr Loomis è un perdente. A McDowell si uniscono alcuni volti noti del cinema horror e popolare in generale come Clint Howard, Dee Fallace, Richard Lynch e soprattutto un talento eccezionale come Brad Dourif, che nel film di Zombie sembrano prendere parte alla loro personale Hall of Fame.

See the Flesh Falling Everywhere

Non si sono sottolineate la presenze muliebri del film , Danielle Harris, Kristina Klebe e Scout Taylor Compton, la Laurie in carica, non per mancata celebrità ma perché interpreti esclusivamente nella seconda parte del film, dove le sorti si ridimensionano rispetto ad una prima parte importante. Una volta che la fuga di Michael inizia, Rob Zombie riporta il film sempre più vicino al suo modello originale o almeno apparentemente. Gli ultimi minuti di film rappresentano la parte più meramente slasher del film, dove lo stalking di Michael diventa sempre più mirato alla cattura della sorella ed a una illusione di riunione familiare. Probabilmente Rob Zombie lo negherebbe fino alla morte ma decide di dare ritmo alla pellicola conferendogli azione e iniziando un placido quanto imperterrito bodycount. Il che non è necessariamente un compromesso,, visto che era implicito che,a meno di non stravolgere completamente la storia, il film comunque parlasse di un assassino e quindi qualcuno doveva venire ammazzato. Quello che non torna,però, è la disumana esplosione di violenza di Michael, sopita per anni. E’ vero che Zombie ci ha mostrato la insensata ferocia del ragazzino ma ci ha infuso anche la sua umanità e la sua capacità di stasi dalla violenza. La trasformazione nella vecchia implacabile macchina di distruzione Michael Myers è fuori luogo e non trova giustificazione nelle scene di omicidio, pur ottimamente girate. Il film sembra avere un percorso personale, per il regista, solo per metà. Non c’è una vera e propria uscita e questo è dimostrato dall’indecisione su come decretare la fine di Michael. E’ molto facile, seppur legittimo, lamentare che l’infanzia di Michael non prevede traumi particolarmente shockanti da trasformare il biondo ragazzino nell’enorme furia distruttrice che vediamo nel finale. Anche volendo imputare una particolare sensibilità dell’animo del ragazzo, non c’è bisogno di esperienza clinica in psicanalisi per rendersi conto che nonostante tutto Michael poteva mantenere la ragione tenendo la madre, Sheri Moon, come punto di riferimento. Il fatto di ricevere amore incondizionato da parte della donna conferisce un motivo di contenimento dell’odio per il ragazzo. Rob Zombie ha mancato nel mettere la moglie nei panni di un personaggio negativo. Tuttavia, a detta del regista in numerose interviste, non c’è alcun collegamento tra la violenza di Michael e la sua penosa situazione familiare. Sempre dalle sue parole, che Michael sia nato in una famiglia povera o ricca, disagiata o felice non ha alcuna influenza, Michael è un reattore di furia omicidia che sarebbe comunque esploso, un natural born killer votato al male. Questo può essere anche ammissibile nelle intenzioni di Rob ma non traspare minimamente dal film, anzi allo spettatore viene suggerito il contrario. Meglio sarebbe stato dare a Michael un passato fortunato per poter biasimare il suo destino di sangue. L’ambizione di Rob di rieducare lo spettatore è lodevole ma tuttavia sprezzante perché contraria a regole che per ammissione lui stesso rispetta. Sintomatico dell’indecisione sul completamento dell’opera è il fatto che Rob Zombie , a breve dall’uscita nelle sale, sia tornato sul set a rigirare un paio di scene abbastanza centrali tra cui la fuga di Michael ed il finale del film. Questo ha determinato l’esistenza di due versioni del film, una è un workprint che è girato in rete, la cui diffusione non pare aver determinato il successo commerciale della pellicola, e una per i cinema, simile ma diversa. Senza naturalmente rivelare lo svolgimento dei fatti, sia noto che Rob Zombie ha potuto testare sulla sua pelle come la resa di una scena sullo script non ha lo stesso effetto sullo schermo. L’intenzione di Rob era quella di far ritornare in Michael l’essenza del mostro ancestrale, del Frankenstein da perseguitare, del King Kong abbattuto sull’Empire State Building, ma, come già detto, non si può lavorare esegeticamente per buona parte del racconto rendendo concreto, umano, “materico” il proprio personaggio per poi decidere di sgretolarlo come un pupazzo di creta. Questo è stato riconosciuto fallimentare anche dal regista che ha scelto una soluzione di ripiego forse ancora più improbabile. Soddisfatto o meno che sia come autore, Rob Zombie ha superato la sfida più ardua, quella del botteghino, sopravvivendo anzi uscendo vittorioso contro la diffidenza che lo aveva travolto all’inizio di questa avventura. La buona uscita da questo progetto ha un significato emblematico nella carriera di Rob che ha all’orizzonte un potere nei confronti di Hollywood molto superiore rispetto a prima. Quindi è solo il caso di aspettare il prossimo progetto che si auspica arrivi possa arrivare oltre le aspettative grazie all’esperienza di Halloween.

di Gianluigi Perrone