domenica 22 giugno 2008
SPECIALE M NIGHT SHYAMALAN
Come tanti autori controversi, Shyamalan è amato da alcuni ma anche odiato da altri. Quando avvengono divisioni di questo genere vuol dire essenzialmente che l'autore ha delle grandi qualità che però non gli vengono riconosciute perchè, in qualche modo reputate esagerate. Quello che non si può negare è che Shyamalan abbia uno stile proprie e una poetica personale che ostinatamente porta avanti in tutti i suoi film. Tecnicamente il regista indo-americano ha avuto un approccio da studente indefesso, studiando nei minimi particolari la grammatica cinematografica di grandi maestri, su tutti Hitchock e Kubrick, e riproducendone la maniera di lavorare. Senza essere citazionista, Shyamalan riprende una scuola che vuole nei tempi e nel linguaggio della macchina da presa l'espressione prima con cui si comunica con lo spettatore. E' noto che Shyamalan utilizza una maniera speciale di montaggio creata da Walter Murch per cui ogni stacco è relativo al battere di palpebra dell'occhio umano per rendere quanto più fluida la narrazione e mantenere i tempi necessari per entrare nella storia. Questo non sarebbe sufficiente se la scrittura del regista non fosse consistente ed efficace. In questo caso il regista mostra una grande cura per i dettagli ed uno studio dei personaggi tutt'altro che unilaterale. Ogni protagonista dei suoi film è un individuo con caratteristiche universali e immediatamente riconducibili nel quotidiano, con cui è molto facile riconoscersi, eppure la sua esistenza e le sue azioni vengono rese straordinarie dalle sue qualità, e spesso non quelle sovrannaturali ma quelle umane, alle quali inconsciamente ci si lega di più. Questa stessa dicotomia viene trasposta agli eventi. Ogni volta vi è un evento incredibile e irrazionale che sostiene il succo della vicenda ma in realtà contiene un evento ugualmente eccezionale,spesso luttuoso,ma assolutamente reale e plausibile. Neanche questo sarebbe sufficiente se non fosse che Shyamalan, attraverso tutti questi accorgimenti tecnici, manda un messaggio, sempre lo stesso, verso lo spettatore. Priva di didascalismi, la parabola shyamalaniana risente molto di elementi culturali occidentali, soprattutto cattolici, insieme ad altri orientali. Le due spiritualità si fondono nella visione del regista che crede fermamente in una fede superiore capace di rendere eccezionale la propria vita. Nella versione fatalista di Shyamalan c'è un senso nelle qualità di ogni individuo e il proprio compito è quello di guardare agli eventi nel loro significato simbolico per comprendere questo compito. Spesso la realtà è velata e incomprensibile, cosa che il regista esprime quasi sempre in maniera simbolica con riprese crearte ad hoc, ma questo deriva da sovrastrutture autoimpostesi. L'incominicabilità è una delle barriere che spesso vengono infrante dai protagonisti dei suoi film, che vivono una situazione di dolore e disagio a causa di una opprimente incapacità di comunicare. E' nella comunicazione chiara e priva di pregiudizio che c'è il senso della narrazione, dell'espressione di sè e del linguaggio. Quasi inconsapevolmente Shyamalan arriva a parlare nei suoi film del senso della comunicazione e quindi di quello che fa intrinsicamente parlando cinema. E' una visione metacinematografica assoluta ed inedita, che essendo prestata a fini commerciali, spesso fa storcere il naso a qualcuno. In realtà il successo di tale narrazione e quindi la sua capacità di arrivare allo spettatore attraverso il linguaggio popolare del genere è la molla per cui essa si mantiene longeva. Senza il successo di pubblico (e recentemente questi problemi si sono ripresentati per l'autore) non è possibile potersi nuovamente esprimere. Questo concetto ciclico è naturalmente insito in qualsiasi forma di espressione ma ,come dimostra Lady in the Water, Shyamalan ne ha fatto il suo manifesto autoriale e lotta per portarlo avanti fino alla fine. Una forma di cinema a cui è bello guardare e che è giusto che esista.
Ad occhi aperti (Wide Awake, 1998)
Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999)
Unbreakable - Il predestinato (Unbreakable, 2000)
Signs (2002)
The Village (2004)
Lady in the Water (2006)
E venne il giorno (The Happening) (2008)
a cura di Gianluigi Perrone
lunedì 16 giugno 2008
SPECIALE E VENNE IL GIORNO : FILM VERSUS SCRIPT
Andiamo per gradi. Con all'attivo quattro successi commerciali, di cui almeno due eclatanti (Signs e Il Sesto Senso),M. Night Shyamalan sente di poter pretendere di più dalla casa di produzione che aveva contribuito ad arricchire, la Disney,e decide di passare ad una produzione propria per realizzare la sua opera più personale ed ambiziosa ma al contempo più ostica, Lady in the Water, cestinata da Nina Jacobson, executive della Disney. Il rischio fu altissimo. Shyamalan decideva di fare di testa sua su un film che si discostava notevolmente dai modelli che aveva proposto al pubblico e dopo The Village che da molti era stato percepito come un inganno. Nonostante fosse un ottimo film, Lady in the Water spiazzò il pubblico che abbandonò il regista e il film divenne un flop. La cronaca di questa incredibile impresa cinematografica è raccontata nel libro The Man Who Heard Voices: Or, How M. Night Shyamalan Risked His Career On A Fairy Tale di Michael Barbenger. Dopo il flop Shyamalan si trova, per la prima volta in anni, in ginocchio senza la sicurezza di una libertà che gli permetta di dirigere l'opera come dovrebbe. Ovvio che il regista, sempre stato buon menager di se stesso, decide di dirigere un film simile a Signs, il suo maggior successo. Ed infatti il suo nuovo script, the Green Effect, ha elementi simili al film con Mel Gibson, ispirandosi a classici come La Notte dei Morti Viventi, L'Invasione degli Ultracorpi e Uccelli, anche se su ambientazioni all'aperto. Prima dell'uscita del film, misteriosamente viene fuori la sceneggiatura del film. O meglio, quello che doveva essere lo script prima delle richieste di cambiamenti della Twentieth Century-Fox, scelte per Shyamalan inappellabili che cambieranno radicalmente il film. Quella che segue è una review che rilegge il film secondo lo script originale. Innanzi tutto il titolo, che era il senso del film. The Green Effect svela il significato dell'anello umorale che porta Mark Wahlberg. Il dialogo a cui fa riferimento l'oggetto dava senso al film perchè il colore dell'amore di cui parlano Elliot e Alma è proprio verde ed il titolo prendeva significati diversi. Infatti il senso originale del film era quello di una storia d'amore che rinasceva attraverso la fede dei personaggi, un tema amato dal regista. Dalla relazione tra i due protagonisti viene tagliata la parte iniziale, che apriva il film prima della scena horror, in cui si apprendeva il loro disagio e la deriva della loro relazione. In questo caso si capiva, nel finale, che il fatto che non venissero attaccati dall'infezione era dovuto all'emotività dei personaggi, che dopo lo struggente dialogo attraverso il tubo (scena tipicamente shyamalaniana)trovavano l'empatia per sopravvivere alla neurotossina. Se nel prodotto finale i personaggi non sembrano approfonditi, compreso quello di Leguizamo, è proprio perchè sono stati tagliati i dialoghi e velocizzato il montaggio. Se queste scelte sono evidentemente mirate a non annoiare il pubblico (come il finale più fatalista rispetto a quello buonista che vedeva completamente debellata la malattia), sono probabilmente di budget le scelte che hanno fatto tagliare alcune delle scene più forti. Su tutte preme raccontare una scena in cui, durante un saggio musicale, un violinista si incantava per poi ingoiare il proprio violino come un mangiatore di spade. Anche la scena in fattoria era ben più lungo, evidentemente ridimensionata nella scenografia con la sola mietitrebbia. Nella parte finale vi erano anche scenografie più importanti riguardo alla fattoria della vecchia bigotta. Le differenze più sostanziali sono comunque nel montaggio che ha voluto dare più spazio agli eventi che ai personaggi. Il potenziale che la sceneggiatura proponeva è stato purtroppo castrato da scelte produttive a cui prima Shyamalan non avrebbe dovuto sottostare.
di Gianluigi Perrone
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